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Il nome scientifico della pianta, Cinchona Officinalis, le fu dato da Linneo e affonda le sue origini nella leggenda.
Secondo quanto scritto da Sebastiano Bado, infatti, pare che nel XVII° secolo la moglie del viceré del Perù, Luis Jerónimo de Cabrera, la contessa Ana de Osorio Chinchón fosse stata curata dalla febbre intermittente dalla quale era affetta proprio grazie a un indio che le somministrò un preparato a base di corteccia di china.
Gli Indios conoscevano da tempo immemore le proprietà curative della china notando che gli animali che si abbeveravano con l’acqua rossastra di un laghetto, divenuta tale per il contatto diretto con la corteccia della pianta, superavano immuni le epidemia dell’epoca .
Sempre secondo questa tradizione, la contessa, per ringraziare della guarigione dispose la cura dei poveri di Lima e fece pubblicità del suo caso anche in Spagna.
Nel 1930 fu ritrovato il diario ufficiale del viceré de Cabrera.
In questo diario vengono contraddette molte delle cose scritte da Bado.
Si dice che Ana de Osorio, prima contessa di Chinchón, morì in Spagna almeno tre anni prima che il marito fosse nominato viceré del Perù.
Fu la seconda moglie, Francisca Henríquez de Ribera, che accompagnò il conte nelle Americhe, dove godette di ottima salute.
Lo stesso conte si ammalò più volte di febbre, ma non fu mai curato con bacche.
La seconda moglie, poi, non tornò mai in Spagna.
Morì nel porto di Cartagena durante il viaggio di ritorno.
Alla luce di queste rivelazioni, tutti i racconti di Bado ricevono poca considerazione dagli storici.
Si crede piuttosto che sia stato il gesuita Bernabé Cobo (1582-1657), che esplorò Messico e Perù, ad introdurre il chinino in Europa.
Portò le bacche da Lima in Spagna, e poi a Roma ed in altre parti d'Italia nel 1632.
A conferma di ciò sta il fatto che nel passato il chinino era detto anche pulvis gesuiticus.
Il chinino venne estratto dalla corteccia dell'albero della china e fu isolato e così chiamato nel 1817 dai ricercatori francesi Pierre Joseph Pelletier e Joseph Bienaimé Caventou.
La prima apparizione in Italia data 1612 e nel 1906 l'importante rivista medica Lancet scrisse dell’importanza dell’azione dei padri gesuiti.
Nel 1928 la febbre bubbonica dell'intero stato della Nigeria fu debellata con l'uso sistematico di chinino in basse concentrazioni (5-10%) mescolato con acqua, succo di limone, cacao e menta.
Nel 1884 il Dottor Giuseppe Clementi, esperto botanico, inizia a produrre il suo Elixir nella propria farmacia di Fivizzano, in Lunigiana.
Da allora la ricetta è stata gelosamente custodita e tramandata di generazione in generazione, sino ai giorni nostri.
La storica farmacia purtroppo ha subito il grave terremoto del 1920 di magnitudo 6.4 sulla scala Richter, con danni riconducibili al 10º grado della scala Mercalli, che causò 300 morti e centinaia di feriti.
Non rimase più alcuna casa abitabile e quelle pochissime che restarono in piedi, al di sopra di spessi cumuli di macerie, grazie a un vero e proprio miracolo, riportarono lacerazioni e squarci talmente profondi che alla scossa successiva, nonostante leggerissima quanto a intensità, rovinarono al suolo definitivamente.
Tutta la popolazione rimase all'addiaccio, accompagnata in tende di fortuna.
Con grande caparbietà la farmacia è stata sapientemente restaurata ed oggi riesce ancora ad emanare tutto il fascino della tradizione farmaceutica.
Attualmente l’antico Elixir viene prodotto nel vicino liquorificio, ricavato in un vecchio edificio industriale con annessa centrale idroelettrica.
La preparazione dell’Elixir parte da due pregiate specie di corteccia di china: Calisaya e Succirubra.
Altri ingredienti noti sono la scorza di arancia amara, erbe officinali, zucchero ed alcol.
Importante, direi fondamentale, è tutto il processo produttivo.
Questi prevede la riduzione delle cortecce in pezzi sapientemente calibrati e messi in soluzione idroalcolica contestualmente alle erbe e alla scorza di arancia per estrarne le proprietà e le caratteristiche organolettiche.
Dopo diversi passaggi, le tinture vengono miscelate ad alcool e zucchero e si ottiene il prodotto base per l’affinamento in contenitori piramidali in acciaio inox, secondo il metodo soleras, per circa un anno.
Durante questo periodo, l’Elixir si chiarifica e affina il sapore raggiungendo l’optimum gustativo.
Nel lontano 1911 a Roma, la China del Dottor Clementi viene insignita di medaglia d’oro nel contesto di una esposizione a carattere internazionale.
Fu questo il primo riconoscimento ufficiale per un Elixir a base di China.
CHINA ANTICO ELIXIR CL. 70 ANTICA OFFICINA FARMACEUTICA DOTTOR CLEMENTI
Ci troviamo a commentare un autentico Elixir di rara bontà, prodotto ancora con i crismi sacri del passato.
Molto spesso le aziende che attualmente producono analoghi liquori partono dalle tinture che l’industria elargisce loro abbondantemente.
Non più ricerca di materie prime di qualità, non più tempi lunghi di macerazione e di affinamento, ma solo ed esclusivamente diluizioni ed imbottigliamenti per un risultato finale che lascia delusi il palato e lo spirito del degustatore.
L’Elixir del Dottor Clementi stupisce da subito per il suo imponente ventaglio organolettico che spazia dai profumi di erbe officinali, alle fragranze agrumate, alle note caramellate e amaricanti di corteccia di China.
Al palato sapori antichi che riflettono e ribadiscono ciò che il naso aveva precedentemente percepito.
Una nota dolce amara e la struttura di calibrata viscosità.
Cremosa ma fluida al medesimo tempo; mai stucchevole e garbata, la China Clementi scorre sul palato lasciando una gradevolissima sensazione che ci accompagna per parecchio tempo dopo l’assunzione del miracoloso Elixir.
Grazie Dottor Clementi! Nella sua Farmacia si entra col sorriso e si esce con l’Elixir.
Il formato 70 centilitri è proposto nella bottiglia storica, astucciata.