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Codice: 00000076
Categoria: Rossi italiani
Disponibilità:
3
Contenuto:
0,75 lt.
Confezione:
Bottiglia
Località: Italia-Veneto
Produttore:
Dal Forno Romano Cellore d'Illasi (VR)
L'azienda agricola Romano Dal Forno, nato nel 1957 a Capovilla, si trova in Val d'Illasi, una valle ad est di Verona che, insieme a molte altre, costituisce la nervatura della catena dei Lessini, quel gruppo collinare a forma di ventaglio che protegge la città a nord e che ha come punto d'incontro di tutte le valli il gruppo del Carega, situato appunto a nord dei Lessini.
La Val d'Illasi, in particolar modo, si snoda in direzione nord-sud e costituisce la naturale via di accesso al gruppo del Carega, situato a nord di essa, e che quindi da quest'ultimo viene protetta; ha una forma conica e, a partire dalla pianura, si restringe fino a diventare quasi una valle alpina più o meno all'altezza di Selva di Progno.
L'azienda agricola è ubicata all'incirca a metà della valle dove le colline che ne delineano i contorni hanno appena iniziato ad elevarsi verso i monti e la valle appare quindi larga ed estremamente soleggiata.
Se le zone più a sud della valle sono state spesso adibite a coltivazioni come quella dei cereali e dei foraggi, anche in relazione alla diffusione dell'allevamento, la parte più a nord, quella dove è situata l'azienda, principalmente a causa dell'altitudine (290 metri slm), è stata da sempre più vocata alla produzione del vino e dell'olio.
Da almeno quattro generazioni la famiglia Dal Forno possiede le proprietà sulle quali oggi vive l’azienda e da almeno tre produce vini.
Un ruolo fondamentale nella storia della proprietà lo ha svolto nonno Luigi il quale, dopo che la proprietà, per motivi ereditari, era stata frammentata e divisa tra vari fratelli, era riuscito a ricostituirne l'unità dando ad essa una prima impronta produttiva di stampo vinicolo; venivano ovviamente mantenuti terreni a seminativi per il sostentamento degli animali che all'epoca erano l'unica forza motrice dell'azienda.
Luigi era conosciuto nella zona, oltre che come stimato produttore e talvolta venditore di vini di buona qualità ad uso familiare, anche come estimatore ed intenditore di questo prodotto, tant'è che quando Romano ha intrapreso la strada odierna nella produzione del vino molti hanno visto nel nonno un precursore di questa sua inclinazione.
Il padre di Romano ha proseguito l'attività in un'epoca di grandi cambiamenti che per la valle hanno significato nascita delle piccole industrie (nel secondo dopoguerra) e conseguente abbandono delle campagne, oltre alla svalutazione, sia nell'immagine che nel reddito, del lavoro agricolo.
Era subentrata inoltre, in questo periodo, la globalizzazione del mercato con tutti i problemi conseguenti per un'agricoltura non all'avanguardia, e quindi il bisogno di investire capitali per l'acquisto di macchinari necessari alla meccanizzazione del lavoro.
All’inizio fu quindi un'attività conto terzi, allo scopo di far quadrare il bilancio senza così dare un particolare impulso all'impresa agricola preesistente, questo con l'intento di differenziare la propria attività lavorativa, anche a causa di ripetute annate in cui la grandine aveva rovinato il raccolto determinando quindi una certa sfiducia nelle possibilità dello sviluppo del settore vinicolo.
Dopo un periodo molto combattuto e incerto, all'età di 22 anni, Romano conobbe Giuseppe Quintarelli che lo sbalordì con i suoi vini.
Fu per lui una rivelazione, una spinta vitale, capì che quella era la sua strada.
I problemi da affrontare si rivelarono immensi, i pochi ettari di vigneto di proprietà erano stati sfruttati per anni perché potessero produrre più uva possibile e capiva che con un sistema del genere non avrebbe mai potuto fare vini importanti.
Inoltre, il Maestro Quintarelli era convinto che la Valle d'Illasi fosse buona solo per coltivare mais.
Romano volle ugualmente tentare; la sfida era troppo avvincente; cominciò a lavorare, aiutato dalla moglie.
La sua unica esperienza era quella fatta direttamente in vigna, non era un enologo, né un agronomo o un tecnico e i suoi colloqui con Quintarelli, pur se illuminanti, non potevano essere sufficienti ad indirizzarlo con precisione verso le scelte giuste.
Gli esordi furono estremamente difficili; dapprima tentò di ridurre drasticamente la produzione d'uva per pianta, ma ottenne l'effetto di avere grappoli dagli acini enormi e gonfi, annacquati.
Successivamente si rese conto che le piante, essendo abituate da anni alla sovraproduzione non potevano di punto in bianco interrompere l'iperlavoro a cui erano abituate, bisognava fare le cose per gradi, con estrema pazienza.
Contestualmente frequentò la Scuola Agraria e col passare degli anni cominciò a comprendere come andava trattato il vigneto; comprese che la pratica dell'appassimento delle uve, fino ad allora utilizzata da tutti i vignaioli a fini correttivi, era invece elemento fondamentale per produrre vini importanti e caratteristici di quel territorio.
Mano a mano aumentò la fittezza d'impianto, era chiaro che si doveva arrivare a grandi concentrazioni estrattive.
Romano Dal Forno ha iniziato a produrre vini significativi nel 1983.
Nel 1990 ha avviato il grande progetto della costruzione della cantina e della casa che attualmente è la sede dell'azienda oltre che il suo domicilio.
Allora il fatturato ammontava a soli 70 milioni e l'investimento per i nuovi macchinari richiedeva 1 miliardo e 300 milioni.
Il rischio era enorme, ma Romano sapeva che valeva la pena tentare.
Nella scelta del progetto si è seguito lo stile di alcune ville padronali dell'800 della zona, sia perché adatto all'ambiente nel quale sorgeva e all'attività della quale doveva essere immagine, sia perché rispondeva ad alcune caratteristiche strutturali che rispecchiavano la sua filosofia produttiva, quali la solidità, la durata nel tempo, la complessità, l'amore per materiali naturali, il rispetto per la storia e le tradizioni.
Nel '95, ai 12 ettari vitati di proprietà, si aggiunsero 8 ettari del cognato e, nel 2000, altri 5 di un cugino, che gli consentirono di lavorare intensamente nella sperimentazione.
La fittezza d'impianto era arrivata, in alcuni casi, fino a 11.000 ceppi per ettaro.
A questo punto l'obiettivo era quello di raggiungere una fittezza media di 11-13.000 piante per ettaro per garantire una produzione annua di 40.000 bottiglie di Valpolicella e 15-20.000 di Amarone.
Il mio primo incontro con Romano Dal Forno avvenne in maniera informale e quasi occasionale grazie all’amico comune Marco Sartori, giovane e dinamico titolare dell’azienda vinicola Roccolo Grassi.
Accomunati dalla medesima filosofia produttiva, Marco e Romano, si salutano con grande rispetto l’uno dell’altro mentre io, di fronte ad una entrata monumentale dell’azienda, come sino ad allora avevo visto solamente nei grandi Chateaux Bordolesi, rimango letteralmente senza parole.
Ad interrompere l’incantesimo una vigorosa stretta di mano.
Romano, mio coetaneo, da molti descritto come personaggio rude, schivo, sfuggente, a volte scorbutico, nella realtà è assolutamente l’opposto.
Educato, rispettoso, sorridente, garbato e colto. Uomo intelligente.
Ci fa accomodare nel salone di casa sua dove ci accoglie con la sua cordiale Signora e l’immancabile Lupo sulla porta.
Parliamo di tutto, conversiamo amabilmente di vino; Romano ti mette a tuo agio.
Ci porta poi in cantina. In quel luogo da molti descritto come sacro ed inviolabile.
Nulla di più falso!
Si vede che qui Romano è a suo agio.
La cantina è immensa; sicuramente sovradimensionata; di una pulizia maniacale; bella da vedere.
Romano si aggira tra le sue barriques, penso le chiami per nome una ad una, e con uno splendido “ladro” di cristallo pesca da una di esse.
Versa in un Riedel il contenuto e me lo porge.
Nel frattempo continua il suo percorso tra le botti poste in perfetto schieramento.
Guardo, annuso e assaggio.
Mamma mia! Un Amarone da sogno!
Tanta polpa, profumi interminabili e soavità mai provata prima. Un grandissimo Amarone.
Rapito da tanta bontà percepisco la voce di Romano che mi esorta a vuotare il bicchiere … <>…
Ebbene si! L’assaggio precedente era Valpolicella.
Mi vergognai come un ladro per il mio errore di valutazione.
Descrivere l’Amarone è cosa ardua. Mai sentito nulla di analogo prima di allora!
Romano Dal Forno produce vini unici che valgono il grande impegno economico che il piacere del possesso ci obbliga ad affrontare.
Molti ritengono il costo di questi vini eccessivo e immorale. Altri denigrano i vini di Romano perché non tipici, a volte imbevibili, marmellatosi o costruiti in cantina.
In risposta a questo pubblico di detrattori cito sempre la favola di Esopo della volpe con l’uva.
"Fare come la volpe con l'uva" significa, metaforicamente, reagire a una sconfitta sostenendo di non aver mai desiderato la vittoria o disprezzare quello che non si può ottenere.
La verità stà nel bicchiere.
VALPOLICELLA SUPERIORE DOC MONTE LODOLETTA 2015 ROMANO DAL FORNO
Il Valpolicella Superiore gode dei medesimi, rigorosi criteri di produzione adottati per l’Amarone.
Dall’annata 2002, le uve destinate a diventare Valpolicella subiscono un appassimento di circa un mese e mezzo.
Ne scaturisce un vino dalla struttura imponente, intenso ed aromatico, di categoria differente rispetto a quella in cui storia e territorio lo schierano.
Il colore si presenta di un bel rubino fitto e scuro, con chiare venature purpuree.
Il naso, sebbene ancora in piena fase evolutiva, lascia intravedere grandi possibilità di miglioramento.
In gioventù è ovviamente un poco dominato da note verdi e dalla presenza del legno, ma col tempo è destinato ad offrire una maggiore complessità.
Al palato esibisce note di vaniglia, mirtillo, mora, ciliegie, cioccolato, spezie dolci e confettura.
Una volta degustato si mostra in tutta la sua stoffa ed eleganza, ricchezza di polpa, sapidità e tannini appena acerbi ma finissimi.
Un buon affinamento in bottiglia per qualche anno gli consentirà di esprimere appieno le sue grandi qualità.
La Val d'Illasi, in particolar modo, si snoda in direzione nord-sud e costituisce la naturale via di accesso al gruppo del Carega, situato a nord di essa, e che quindi da quest'ultimo viene protetta; ha una forma conica e, a partire dalla pianura, si restringe fino a diventare quasi una valle alpina più o meno all'altezza di Selva di Progno.
L'azienda agricola è ubicata all'incirca a metà della valle dove le colline che ne delineano i contorni hanno appena iniziato ad elevarsi verso i monti e la valle appare quindi larga ed estremamente soleggiata.
Se le zone più a sud della valle sono state spesso adibite a coltivazioni come quella dei cereali e dei foraggi, anche in relazione alla diffusione dell'allevamento, la parte più a nord, quella dove è situata l'azienda, principalmente a causa dell'altitudine (290 metri slm), è stata da sempre più vocata alla produzione del vino e dell'olio.
Da almeno quattro generazioni la famiglia Dal Forno possiede le proprietà sulle quali oggi vive l’azienda e da almeno tre produce vini.
Un ruolo fondamentale nella storia della proprietà lo ha svolto nonno Luigi il quale, dopo che la proprietà, per motivi ereditari, era stata frammentata e divisa tra vari fratelli, era riuscito a ricostituirne l'unità dando ad essa una prima impronta produttiva di stampo vinicolo; venivano ovviamente mantenuti terreni a seminativi per il sostentamento degli animali che all'epoca erano l'unica forza motrice dell'azienda.
Luigi era conosciuto nella zona, oltre che come stimato produttore e talvolta venditore di vini di buona qualità ad uso familiare, anche come estimatore ed intenditore di questo prodotto, tant'è che quando Romano ha intrapreso la strada odierna nella produzione del vino molti hanno visto nel nonno un precursore di questa sua inclinazione.
Il padre di Romano ha proseguito l'attività in un'epoca di grandi cambiamenti che per la valle hanno significato nascita delle piccole industrie (nel secondo dopoguerra) e conseguente abbandono delle campagne, oltre alla svalutazione, sia nell'immagine che nel reddito, del lavoro agricolo.
Era subentrata inoltre, in questo periodo, la globalizzazione del mercato con tutti i problemi conseguenti per un'agricoltura non all'avanguardia, e quindi il bisogno di investire capitali per l'acquisto di macchinari necessari alla meccanizzazione del lavoro.
All’inizio fu quindi un'attività conto terzi, allo scopo di far quadrare il bilancio senza così dare un particolare impulso all'impresa agricola preesistente, questo con l'intento di differenziare la propria attività lavorativa, anche a causa di ripetute annate in cui la grandine aveva rovinato il raccolto determinando quindi una certa sfiducia nelle possibilità dello sviluppo del settore vinicolo.
Dopo un periodo molto combattuto e incerto, all'età di 22 anni, Romano conobbe Giuseppe Quintarelli che lo sbalordì con i suoi vini.
Fu per lui una rivelazione, una spinta vitale, capì che quella era la sua strada.
I problemi da affrontare si rivelarono immensi, i pochi ettari di vigneto di proprietà erano stati sfruttati per anni perché potessero produrre più uva possibile e capiva che con un sistema del genere non avrebbe mai potuto fare vini importanti.
Inoltre, il Maestro Quintarelli era convinto che la Valle d'Illasi fosse buona solo per coltivare mais.
Romano volle ugualmente tentare; la sfida era troppo avvincente; cominciò a lavorare, aiutato dalla moglie.
La sua unica esperienza era quella fatta direttamente in vigna, non era un enologo, né un agronomo o un tecnico e i suoi colloqui con Quintarelli, pur se illuminanti, non potevano essere sufficienti ad indirizzarlo con precisione verso le scelte giuste.
Gli esordi furono estremamente difficili; dapprima tentò di ridurre drasticamente la produzione d'uva per pianta, ma ottenne l'effetto di avere grappoli dagli acini enormi e gonfi, annacquati.
Successivamente si rese conto che le piante, essendo abituate da anni alla sovraproduzione non potevano di punto in bianco interrompere l'iperlavoro a cui erano abituate, bisognava fare le cose per gradi, con estrema pazienza.
Contestualmente frequentò la Scuola Agraria e col passare degli anni cominciò a comprendere come andava trattato il vigneto; comprese che la pratica dell'appassimento delle uve, fino ad allora utilizzata da tutti i vignaioli a fini correttivi, era invece elemento fondamentale per produrre vini importanti e caratteristici di quel territorio.
Mano a mano aumentò la fittezza d'impianto, era chiaro che si doveva arrivare a grandi concentrazioni estrattive.
Romano Dal Forno ha iniziato a produrre vini significativi nel 1983.
Nel 1990 ha avviato il grande progetto della costruzione della cantina e della casa che attualmente è la sede dell'azienda oltre che il suo domicilio.
Allora il fatturato ammontava a soli 70 milioni e l'investimento per i nuovi macchinari richiedeva 1 miliardo e 300 milioni.
Il rischio era enorme, ma Romano sapeva che valeva la pena tentare.
Nella scelta del progetto si è seguito lo stile di alcune ville padronali dell'800 della zona, sia perché adatto all'ambiente nel quale sorgeva e all'attività della quale doveva essere immagine, sia perché rispondeva ad alcune caratteristiche strutturali che rispecchiavano la sua filosofia produttiva, quali la solidità, la durata nel tempo, la complessità, l'amore per materiali naturali, il rispetto per la storia e le tradizioni.
Nel '95, ai 12 ettari vitati di proprietà, si aggiunsero 8 ettari del cognato e, nel 2000, altri 5 di un cugino, che gli consentirono di lavorare intensamente nella sperimentazione.
La fittezza d'impianto era arrivata, in alcuni casi, fino a 11.000 ceppi per ettaro.
A questo punto l'obiettivo era quello di raggiungere una fittezza media di 11-13.000 piante per ettaro per garantire una produzione annua di 40.000 bottiglie di Valpolicella e 15-20.000 di Amarone.
Il mio primo incontro con Romano Dal Forno avvenne in maniera informale e quasi occasionale grazie all’amico comune Marco Sartori, giovane e dinamico titolare dell’azienda vinicola Roccolo Grassi.
Accomunati dalla medesima filosofia produttiva, Marco e Romano, si salutano con grande rispetto l’uno dell’altro mentre io, di fronte ad una entrata monumentale dell’azienda, come sino ad allora avevo visto solamente nei grandi Chateaux Bordolesi, rimango letteralmente senza parole.
Ad interrompere l’incantesimo una vigorosa stretta di mano.
Romano, mio coetaneo, da molti descritto come personaggio rude, schivo, sfuggente, a volte scorbutico, nella realtà è assolutamente l’opposto.
Educato, rispettoso, sorridente, garbato e colto. Uomo intelligente.
Ci fa accomodare nel salone di casa sua dove ci accoglie con la sua cordiale Signora e l’immancabile Lupo sulla porta.
Parliamo di tutto, conversiamo amabilmente di vino; Romano ti mette a tuo agio.
Ci porta poi in cantina. In quel luogo da molti descritto come sacro ed inviolabile.
Nulla di più falso!
Si vede che qui Romano è a suo agio.
La cantina è immensa; sicuramente sovradimensionata; di una pulizia maniacale; bella da vedere.
Romano si aggira tra le sue barriques, penso le chiami per nome una ad una, e con uno splendido “ladro” di cristallo pesca da una di esse.
Versa in un Riedel il contenuto e me lo porge.
Nel frattempo continua il suo percorso tra le botti poste in perfetto schieramento.
Guardo, annuso e assaggio.
Mamma mia! Un Amarone da sogno!
Tanta polpa, profumi interminabili e soavità mai provata prima. Un grandissimo Amarone.
Rapito da tanta bontà percepisco la voce di Romano che mi esorta a vuotare il bicchiere … <
Ebbene si! L’assaggio precedente era Valpolicella.
Mi vergognai come un ladro per il mio errore di valutazione.
Descrivere l’Amarone è cosa ardua. Mai sentito nulla di analogo prima di allora!
Romano Dal Forno produce vini unici che valgono il grande impegno economico che il piacere del possesso ci obbliga ad affrontare.
Molti ritengono il costo di questi vini eccessivo e immorale. Altri denigrano i vini di Romano perché non tipici, a volte imbevibili, marmellatosi o costruiti in cantina.
In risposta a questo pubblico di detrattori cito sempre la favola di Esopo della volpe con l’uva.
"Fare come la volpe con l'uva" significa, metaforicamente, reagire a una sconfitta sostenendo di non aver mai desiderato la vittoria o disprezzare quello che non si può ottenere.
La verità stà nel bicchiere.
VALPOLICELLA SUPERIORE DOC MONTE LODOLETTA 2015 ROMANO DAL FORNO
Il Valpolicella Superiore gode dei medesimi, rigorosi criteri di produzione adottati per l’Amarone.
Dall’annata 2002, le uve destinate a diventare Valpolicella subiscono un appassimento di circa un mese e mezzo.
Ne scaturisce un vino dalla struttura imponente, intenso ed aromatico, di categoria differente rispetto a quella in cui storia e territorio lo schierano.
Il colore si presenta di un bel rubino fitto e scuro, con chiare venature purpuree.
Il naso, sebbene ancora in piena fase evolutiva, lascia intravedere grandi possibilità di miglioramento.
In gioventù è ovviamente un poco dominato da note verdi e dalla presenza del legno, ma col tempo è destinato ad offrire una maggiore complessità.
Al palato esibisce note di vaniglia, mirtillo, mora, ciliegie, cioccolato, spezie dolci e confettura.
Una volta degustato si mostra in tutta la sua stoffa ed eleganza, ricchezza di polpa, sapidità e tannini appena acerbi ma finissimi.
Un buon affinamento in bottiglia per qualche anno gli consentirà di esprimere appieno le sue grandi qualità.